La pioggia lenta, fina
di una giornata uggiosa di mezz’inverno
ammorbidisce e rimesta i ricordi.
L’accarezzarsi delle mani,
i corpi protesi in avanti, quasi dolcemente avvinghiati
di quella coppia che vedemmo,
per cui immaginammo accenti stranieri
e poi ridemmo, scoprendolo come il nostro.
Ricordi il rossore nelle gote di lei?
Quel dolce imbarazzo, prima cercato e di lì a poco scacciato?
Fui solo io a desiderare fosse uno specchio?
Passano i giorni,
interi di parole taciute
soppresse nell’eco dei nostri silenzi,
rimpiazzate da frivoli scampoli di conversazioni gettate lì un po’ a casaccio,
quasi temendo che quel sottile filo che ci lega possa spezzarsi,
se non minimamente alimentato.
E poi girare fra i mercatini cercando un regalo,
correndo con lo sguardo da una parte all’altra,
immaginando non tanto quale sia il migliore
ma quale il più giusto.
Vederli tutti, apprezzarne pochi
per non sceglierne neppure uno,
frenato dal timore che dica troppo, troppo presto.
Fermarsi davanti alla vetrina di una gioielleria,
immaginarti con quella collana di pietre colorate,
della stessa luce del il tuo sorriso migliore
lasciando che la fantasia mi porti a giorni mai scritti,
ma profondamente desiderati.
Ah, il desiderio!
Macigno nel fiume della vita,
che per quanto grande,
raramente ne modifica il corso.