I

 

“Da consumarsi preferibilmente entro il 15/02/2010”, diceva l’etichetta su quella scatoletta di tonno.

A pensarci bene, non m’ero mai soffermato a riflettere su quella dicitura. Perché preferibilmente? Era forse un modo conciso di dire “tu mangiala pure il 16 di febbraio, se ti senti male poi non dire che t’avevamo avvisato”?

La riflessione era profonda, e forse era il massimo che quella sera potessi riuscire a formulare. Del resto, la giornata non era stata proprio il massimo del divertimento e, come d’abitudine, alla sera i pensieri più fastidiosi tendono sempre a fare capolino nella mia testa. Mi ritrovai a pensare se avevo chiuso la pratica 2700-254.

“Ma sì, ho anche contattato l’interessata. O forse quella era la signora della 2700-255”.

La mia vita non è mai stata particolarmente interessante ed ultimamente iniziava ad esserlo ancor meno. Anzi, per dirla tutta, stava diventando estremamente fastidiosa.

Il lavoro, dopo dieci anni di monotonia assoluta mal retribuita e anche mal gestita, iniziava a stufarmi. Rivedere giorno dopo giorno le stesse facce, ripetere sempre le stesse frasi fino alla nausea, ritrovarsi a parlare con i colleghi sempre delle stesse cose, dal calcio alle donne passando per la cucina, stava ormai diventando una parte troppo stretta per un attore con le mie capacità.

Gli amici che conoscevo da una vita erano ormai cambiati, così come, da par mio, avevo fatto io. Ormai perfettamente immedesimati nelle loro vite perfette, con una moglie amorevole e talvolta anche bella, i loro figli, il loro cane e la loro casa ancora da pagare, non avevano più tanto tempo da dedicare all’ultimo rimasto single. E se lo facevano, i loro discorsi ricadevano sempre lì: l’automobile da cambiare, la ristrutturazione da fare, il televisore nuovo e così via. E se provavo ad intervenire, a dire la mia, mi si rispondeva puntualmente con un: “Beato te che non sei sposato e non hai figli!”

Stanco quindi di dovermi sorbire all’infinito discorsi del genere, iniziai pian piano ad isolarmi ed a farmi sentire sempre meno, fino ad ignorarli completamente.

Decisi che avevo bisogno di cambiare qualcosa, o magari tutto. Quindi abbandonai il lavoro, incassai la liquidazione e passai la prima settimana da uomo “libero” in casa, facendo la spola fra il letto e la cucina, in compagnia di libri, film, musica e soprattutto alcool. Ero convinto che nell’alcool avrei trovato la risposta alla mia domanda, ma evidentemente mi sbagliavo.

Quando le scorte di cibo e bevande terminarono, fui costretto, mio malgrado, ad abbandonare la mia cuccia. Mi feci una doccia, risvegliai il rasoio e mi sbarbai, misi su l’ultima camicia pulita rimasta ed un paio di pantaloni della stessa sorte della camicia, ed uscii di casa.

Appena uscito dal portone e dopo una settimana in cui la massima luce che avevo visto era stata quella del frigorifero, rimpiansi amaramente d’aver lasciato gli occhiali da sole sul mobile del soggiorno. Il sole era alto, il cielo limpido come raramente l’avevo visto negli ultimi tempi, e c’era la buona possibilità che mi stesse tornando il buon umore.

La prima necessità erano le sigarette, quindi m’incamminai con passo lento ma deciso verso il tabaccaio, che appena mi vide si chinò dietro il bancone, tirò fuori le mie due stecche di Marlboro rosse e me le porse.

“Buongiorno M”, mi disse.

“Buongiorno a te, Pierre. Fa caldo oggi, hai sentito?”

“E’ da una settimana che ci sono trenta gradi e tu mi dici che oggi fa caldo? In che universo sei stato negli ultimi sette giorni, M?”

“Vengo da un pianeta lontano, Pierre. Io amo definirlo come l’unico posto in cui non fa né caldo né freddo ed io sono il re, ma per molti, anzi, per tutti è semplicemente “casa di M”.

“Sei rimasto chiuso dentro casa una settimana, M?”

“Sì.”

“Non dirmi che ti hanno licenziato!”

“No, me ne sono andato io, m’ero stufato.”

“Tu sei pazzo. Sai in quanti sognerebbero un lavoro come il tuo, Maurice?”

“Che posso farci io? Vorrà dire che qualcuno smetterà di sognare e lo troverà, finalmente.”

“E dimmi, M, perché mai ti saresti licenziato?”

“Hai presente quei giorni in cui ti alzi e pensi, non so, qualcosa come “oggi cambierò completamente la mia vita”?”

“No.”

“Beh, ho avuto uno di quei giorni ed ho deciso di cambiare vita.”

“Interessante..”

Ricordò che mi fissò per una decina di secondi con un’espressione a metà fra l’incuriosito ed il dubbioso.

“E adesso cosa farai, M?”

“Ancora non lo so, Pierre. Qualcosa troverò.”

“Posso dirti cosa penso di tutta questa storia, M? In tutta onestà.

“Certamente.”

“Sei un idiota.”

“E perché mai?”

“Non lo so bene, ma la mia sensazione è che sei un idiota. E soprattutto sono convinto che ti pentirai di questa scelta.”

“Grazie Pierre, come sempre sei di grande aiuto. Ora vado, il supermercato m’attende.”

“Ciao M, stammi bene.”

“Anche tu”.

Uscii e m’incamminai verso la seconda tappa di quella mattinata.

 

Incertezza e meraviglia,
dolcezza ed arroganza,
curiosità e tenacia.
L’ebbra fermezza
di un bambino che sale le scale
è più di quanta ne abbia avuta
io
da che sto al mondo.

Ha incantato i miei occhi
quell’incedere di piuma
con piedi di pietra.
Portami con te,
gli dissi,
nel tuo mondo di sogno.
Pulisciti le scarpe,
mi rispose,
e lascia gli occhiali sul comodino.